Lo stop ai sacchetti di plastica ha consentito la diffusione su scala nazionale di sacchetti in bioplastica, contenenti , tra l’altro, componenti vegetali come gli amidi e gli oli vegetali.
Purtroppo con la messa al bando delle buste di plastica, si è verificato anche il proliferare di “finti” sacchetti di bioplastica, meno costosi per chi li acquista, ma non compostabili. Si tratta di prodotti fabbricati a partire da plastiche tradizionali, addizionate con specifici additivi che ne favoriscono la frammentazione.
Le materie prime utilizzate quindi costano pochissimo, ma spesso vengono venduti allo stesso prezzo di un sacchetto realmente biodegradabile e compostabile, a tutta insaputa del consumatore che fa la spesa e del cittadino che li utilizza per la raccolta dell’organico o li differenzia nella frazione organica. Quando questi sacchetti finiscono in compostaggio insieme agli scarti di cucina, compromettono fortemente la qualità del compost.
Un sacchetto in bioplastica che rispetti la norma EN 13432 ed EN14995, per l'area europea (o A5TM D6400, per gli Stati Uniti) deve aver ottenuto una certificazione di terza parte della biodegradabilità e compostabilità del sacchetto:
Gli shopper conformi alla normativa vigente sono riconoscibili grazie ai loghi OK Compost, Compostable Logo o Compostabile CIC, che possono essere impressi sul sacchetto solo quando il prodotto è stato certificato come biodegradabile e compostabile da uno dei seguenti enti: CIC-Certiquality (Italia) DIN CERTCO (Germania), VINÇOTTE (Belgio), BPI WORLD (Usa).
Inoltre, i loghi sono dotati di un codice seguito da un numero (5xx o 7wxx) che assicura la tracciabilità del prodotto; consente cioè di risalire a tutti i passaggi della catena di produzione del sacchetto.